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Brigata Sassari
 
 
In  quell`inferno  in terra che  fu la  Grande Guerra, si contraddistinsero per  abnegazione, valore e sacrificio, anche altre Brigate oltre alla Sassari, ma questa giocò un ruolo di primo piano e a vari livelli, contribuendo in misura importante alla vittoria finale. In primo luogo essa si guadagnò la meritata fama anche tra gli altri corpi dell`esercito, la stessa cosa avvenne presso tutta la cittadinanza italiana e in modo particolare tra le popolazioni che vivevano ai confini delle zone di guerra.
In ultimo anche  i politici si sentirono coinvolti dalle azioni e dai risultati della Sassari, ma certo per costoro giocò a favore, e non poco, il tornaconto meramente politico ed elettorale, conseguibile dalla vicinanza concessa alla Brigata.
La stessa cosa si può sostenere per la stampa italiana, che pur fungendo da amplificatore e catalizzatore della politica militare del governo, otteneva, riportando ogni giorno i successi della Sassari, un incremento delle vendite.

 

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Dal «Corriere della Sera», 17 novembre 1915, “ I sardi”
 
“ …. Le altre brigate, le quali compiono il loro dovere italianamente, non sono diminui­te dall`elogio di quest`una, come non è diminuita una schiera di valorosi se uno fra essi è premiato d`una medaglia d`oro. Le paro­le del bollettino sono la medaglia d`oro della brigata Sassari, il pre­mio collettivo d`una splendida virtù collettiva.
 E una fra le vecchie stirpi d`Italia, che ancora rimane nei secoli l`«Alma Mater hominum», s`irradia compatta in questa proclama­zione di valore esemplare: la forte e bella stirpe dei Sardi.
Con quale profondo e limpido coraggio, con quale disciplina nel sacrifizio e nel pericolo, con quale tenacia nell`adempimento dei compiti più ardui i due reggimenti sardi abbiano potentemen­te cooperato con tutte le altre gagliarde milizie d`ogni parte d`Italia ad assicurare all`esercito italiano un posto glorioso nella guerra europea di fronte a ostacoli di incomparabile asprezza, si sapeva già per le narrazioni frammentarie che giungevano dalla fronte.
Soldati d`ogni regione accennavano, con fraterno orgoglio, ai due magnifici reggimenti. Poiché tutti erano degni gli uni degli altri, la purezza di tale orgoglio s`intendeva pienamente ed era consolan­te. I forti non invidiano i forti. Un`aura di leggenda veniva, come un buon vento che fa palpitar per l`alto, dai luoghi dove i sardi si coprivano di gloria.
Domani, probabilmente, altre regioni splenderanno in altri elogi, poiché dai settentrionali alpini alle impavide e superbe fan­terie siciliane, l`unità d`Italia è unità di maschio valore in faccia al nemico: intanto la nazione accoglie con un saluto di ammirazione questo specie di bando in cui suona il plauso pei sardi.
Forti, semplici, intrepidi sardi, figli dell`Isola nel cui nome il fato della Patria avviò sotto i principi di Savoia le prime milizie moder­ne italiane - le «truppe sarde» della dinastia predestinata -, da quasi mezzo anno voi combattete per l`ascensione d`Italia. Così vi giovi, nel cuore pieno anche della piccola patria in mezzo al mare, sentir il debito di gratitudine che per voi si accresce nel sangue, dei Governi e dei Parlamenti verso l`Isola vostra: annoso debito di giustizia, che dovrà essere animato, nei giorni della pace e nel rigoglio di opere civili, da una più alta e più sol­ lecita volontà di riconoscente amore."
 

Anche fra la gente comune si formò un profondo senso di riconoscenza per quei sardi che lasciando l`isola, andarono ai lontani confini per lasciare su quei monti il loro contributo di sangue per la nazione. Si seguiva l`andamento degli scontri attraverso i bollettini di guerra e i resoconti dei quotidiani e il nome della Sassari entrò in ogni casa. Anche nella capitale questo sentimento di riconoscenza aveva le sue espressioni.

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Dal «Giornale d`Italia», 17 novembre 1915. Intrepidi sardi
 
Iersera - mancava un`ora circa alla mezzanotte - giungevano a Roma i nuovi richiamati dalla Sardegna. A quattro a quattro in abito borghese la lunga schiera attraversò la città dalla ferrovia a San Francesco a Ripa in Trastevere a passo di bersagliere. Nessuno sapeva dell`arrivo, né l`ora era la più propizia per dimostrazioni. Eppure furono sufficienti quattro squilli della minuscola fanfaretta, per ridestare gli assopiti echi delle vie silenziose e deserte. In un baleno fu un aprir di finestre e di porte, un accorrer di gente, un arrestarsi di tram, e poi applausi ed evviva senza fine.
I giovanotti sorridevano, levavano in alto in segno di saluto il braccio libero dal carico della loro biancheria, e rispondevano con grida stentoree di «Viva l`Italia!». Qual era il segreto di questa improvvisa dimostrazione? In testa alla colonna marciavano sette od otto sardi nei caratteristici costumi del contado di Nuoro: ampie brache rosse, farsetto rosso sulla candida camicia, berrettone rosso. E frammisti agli uomini della città erano molti isolani degli altri contadi: in giubba nera, berretto­ne nero e brache bianche.
 
Non c`era da dubitare: sono i figli della gagliarda Sardegna che vengono a Roma a formare i nuovi reggi­menti.
Ora proprio un`ora prima s`eran sparse per la Capitale le parole del comunicato di Cadorna: «Gl`intrepidi sardi della brigata "Sassari" resistettero al fuoco saldamente sulle conquistate posizio­ni e con ammirevole slancio espugnarono altro vicino importante trinceramento detto dei "Razzi", facendo circa 300 prigionieri». È la prima volta che il Comando fa una designazione regionale e la unisce con la parola ambita, che più esalta il coraggio collet­tivo di una popolazione. Il tacitiano accenno del comunicato è suf­ficiente a far comprendere la bellezza del fatto d`armi.
 Un trince­ramento avanzato, già austriaco, ed ora italiano, denominato per convenzione dai nostri «Le Frasche» era occupato dalla brigata «Sassari», composta quasi unicamente di sardi. Il nemico concentrò tutta la sua artiglieria disponibile e aprì un fuoco ininterrotto di questi cannoni di ogni calibro per tutta la giornata. Lo scopo era di sloggiare i nostri reggimenti dalle posizioni conquistate a prez­zo di tenaci sforzi.
 
 
Invece gl`isolani, non solo non abbandonarono di un pollice il terreno, ma con un balzo meraviglioso si avventa­rono sul nemico annidiate in un`altra formidabile trincea ed espu­gnarono la nuova posizione. Fermezza, disciplina, ardimento, slancio: ecco le mirabili quali­tà del soldato sardo che s`intravedono in questo episodio. Sono virtù note, specie agli austriaci.
 I reggimenti sardi inflissero perdi­te rilevanti agl`Imperiali in tutte le guerre dell`Indipendenza. Dei i suoi «piccoli sardi» parlava con predilezione Vittorio Emanuele II, che sotto i suoi occhi avevano compiuto prodigi nella campagna del 1859 e ognuno sa quanto apprezzasse gli Isolani di Ichnusa un altro sicuro estimatore del coraggio, Giuseppe Garibaldi.
 
Gli applausi notturni, all`improvviso arrivo dei giovani correli­gionari della brigata «Sassari», era un gentile omaggio della Capitale all`isola nobile e generosa. Il cuore di Roma diceva tutta la sua ammirazione, la sua gratitudine ai prodi combattenti sull`altipiano di Doberdò. Sulle Alpi v`è tutta l`Italia armata e solamente l`Italia. Gli applausi e l`ammirazione per i sardi della brigata «Sassari» dimostrano solamente che la Nazione esalta la nobile gara tra i soldati d`Italia, qualunque sia la loro origine, qualunque sia la loro piccola patria.


Una Brigata che conquistò l`ammirazione, che vi assicuro persiste ancora oggi, della popolazione di Vicenza che volle ospitare, in segno di riconoscenza, i fanti della Sassari, che con la conquista di Col del Rosso, Col d`Echele e Monte Valbella, prima vittoria del nostro esercito dopo Caporetto, scongiurarono, per l`ennesima volta, l`invasione della pianura vicentina.

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Un volantino fatto distribuire dal Comune di Vicenza in onore della Brigata Sassari recita così:
 
“ MUNICIPIO DI VICENZA – Cittadini ! Domani 3 corr. nel pomeriggio arriveranno qui i prodi soldati della Brigata Sassari, figli eroici della forte Sardegna, reduci dalle pugne audaci sugli Altipiani, dalle cui balze, con l`onore e il diritto d`Italia, hanno romanamente difesa la nostra terra vicentina. Vengono fra noi, a riposo, dopo l`aspra e cruenta fatica, e Vicenza tutta saprà accoglierli, saprà ospitarli con fraterno amore riconoscente, ravvivato dalla fiamma di patrio ardore, che riscalda – in quest`ora – ogni cuore italiano. La vostra Giunta ha pensato, che il primo saluto, l primo bacio della Città ai meravigliosi soldati Sardi, debba essere portato dalla nostra Bandiera decorata, la quale racchiude fra le sue pieghe la gagliarda anima del nostro popolo, e che, simbolo e segno di valore immortale, può ben inchinarsi dinanzi a Chi di valore e di eroismo ha dato fulgida prova. Cittadini! Via aspettiamo domani alle ore 18 precise a questa Residenza Comunale (Loggia Capitaniato) per accompagnare il Vessillo glorioso verso le giungenti schiere dei difensori nostri. Dalla Residenza Municipale 3 Febbraio 1918. Per la Giunta Municipale – il SINDACO MUZANI”


Una Brigata che attirò su di se l`ammirazione e il riconoscimento del valore militare degli altri corpi dell`esercito italiano.

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Da «L`Unione Sarda», 21 novembre 1915 - Gli intrepidi sardi.
 
Riproduciamo dal «Secolo» il seguente articolo, che inneggia, come gli altri riprodotti nei giorni scorsi, all`eroismo dei nostri intrepidi soldati. “Ricordo. Ero giunto da poco al fronte. Cominciavo già a tratta­re confidenzialmente i proiettili nemici di piccolo e grosso calibro, ma non avevo ancora potuto né partecipare né assistere ad un combattimento. Desideravo ardentemente di provare e di vedere... .«Per provare dovrai attendere qualche tempo. Verrà la tua ora, non dubitare. Per vedere vieni domani, se vuoi, all`osservatorio di artiglieria di... C`è una avanzata. Sarà una cosa grande. Combatteranno i sardi della brigata Sassari ».
Così mi disse, una sera, un ufficiale di artiglieria, mio amico. Il giorno dopo correvo all`osservatorio. Era una mattina chiarissima. Da più ore i nostri cannoni, vicini e lontani, spazzavano (e come spazzavano!) le posizioni nemiche le quali si profilavano nitide in lontananza. Stava per scoccare il momento dell`azione.
Intorno a me gli ufficiali osservatori sorridevano. Io no, non più.
Il cuore mi batteva forte forte e dovevo avere il viso sbiancato: ci fu, subito, un`anima pietosa che mi sussurrò all`orecchio:
- Coraggio, giovanotto.
Risposi: - Il coraggio c`
è, ma... ecco... andrà poi bene l`operazione?
- Benissimo!
Dissi: - Ah! È dunque un`azione facile e di poco conto?
- No, fantaccino caro, no, è un`azione tra le più ardimentose e le più importanti, ma oggi siamo sicuri; «ci sono i sardi, oggi»... Io li vidi, i sardi, al lavoro. L`amico mio aveva ragione: «una cosa grande».
 Certi spettacoli non si descrivono; si vivono e non si dimenticano più. Che soldati!
Il nemico apre un fuoco fitto di fuci­leria e i sardi vanno avanti. Il nemico, al fuoco della fucileria aggiunge quello terribile, di una, due, tre mitragliatrici (400 colpi al minuto, a ventaglio!) e i sardi vanno avanti sempre, piovano bombe, piovano granate, piova il mondo intero; vanno avanti sem­pre, superando tutti gli ostacoli che la tecnica e la ferocia e la paura può avere suggerito ad un avversario scaltrissimo, straordinaria­mente dotto (oh la cultura!) in materia di accorgimenti bellici.
Vanno avanti come tutti i soldati italiani, ma seguendo un loro metodo particolare, d`una semplicità ammirevole. Questo: «posto che la diffe­renza che corre tra le grosse manovre e la guerra sul serio è soltan­to nei proiettili (gli uni sono a salve, gli altri uccidono) immaginiamo che i proiettili austriaci siano a salve e manovriamo».
E manovrano. Hanno il fegato di avanzare in ordine sparso, conservando la distanza regolamentare tra uomo e uomo tra squa­dra e squadra. Quando sparano mirano a lungo, calmi (non si mira forse al bersaglio? dunque...) e, non fallano mai il colpo. Come giungono alla meta, però manovrano un po` meno: agiscono alla buona, come va va, senza troppa compostezza.
Ecco, se io per disperatissima ipotesi fossi un austriaco e mi trovassi in una trin­cea che stesse per esser presa d`assalto da soldati sardi, confesso candidamente che cercherei di ritirarmi in buon ordine con una certa rapidità. Conquistare una posizione è, s`intende, arduo; spesso quasi impossibile. Pur tuttavia i soldati italiani prendono sempre le posi­zioni che debbono prendere. Tenere una posizione è cento volte più difficile che impadronirsene. Ebbene: nel tener posizioni sardi si sono «specializzati».
Il giorno in cui vidi funzionare (il verbo è del gergo militare) la Brigata Sassari, le cose andarono come dovevano andare. La sera ardevo dalla febbre: avevo il bisogno invincibile di fissare il volto e di parlare con qualcuno di quei soldati che avevo seguito con tanta ansia, nella avanzata meravigliosa.
 Mi scelsi un compagno, un nuorese della mia compagnia (incidentalmente: era un soldato che men­tre noi eravamo di riserva, si recava tutte le notti, tanto per ammazzare il tempo - e non il tempo soltanto... - in prima linea a far la vedetta con certi suoi occhi lincei, radioscopici), mi scelsi, ripeto, un compagno e andai nella nuova trincea.
Arrivati, il nuorese dice:
- « Amici, c`è qui un bravo milanese. Vuol salutarvi. È stato in Sardegna. Pensa che noi siamo «gente leale».
Io che mi accingevo (artifici inconsapevoli del cosiddetto intellettualismo!) a pronunciar qualco­sa di molto «solenne», di molto «storico», mi sento di colpo, tappar la bocca da tre o quattro voci sommesse (il nemico era, si e no, a 50 metri):
 
- «Davvero sei stato in Sardegna? Dove? A Bitti, a Osilo, a Benetutti, a Bonorva?»
- «Sono stato in tutti questi luoghi, ragazzi; ma ditemi, oggi voi avete...»
- «Già oggi noi abbiamo preso questa trin­cea. E, di, ti piace la Sardegna?»
- «La Sardegna mi piace, molto; ma voi, dopo aver presa...»
- «la trincea l`abbiamo tenuta naturalmente. E della nostra gente, amico, che dici?»
- «Dico che è tutta brava, ma, ecco vorrei sapere se gli austriaci oggi...»
- «Gli austriaci oggi hanno sparato tutto il giorno coi cannoni e con «tutto il resto»; poi sono venuti all`attacco e sono tornati indietro. Torneranno ancora e... si vedrà. Si sa l`«inimico» fa quello che può e noi facciamo «quello che possiamo». A proposito: e il vino di Sardegna ti va?...».

Avevano fatto quel che avevano potuto, e non c`era da aggiun­gere. Parlai allora della Sardegna e dei suoi vini e di tante altre cose. Quando me ne andai, l`uomo interessante ero io. Figuriamoci: uno di Milano che è stato in Sardegna e che dice bene! Essi, invece, non avevano fatto altro che occupare una trin­ca e tenerla sotto un fuoco infernale. Miserie. Mi salutarono con molta effusione (addio, addio; un vero amico il nostro «Biscazzoli»!), e mi strinsero vigorosamente la mano.

Voglio ripetere una vecchia freddura, molto imbecille, ma che pure ha la sua eloquenza: quelle strette di mano sono state il più bel giorno della mia vita. Mi hanno detto molto; mi hanno sopratutto rivelato l`esistenza di una virtù mirabile ch`io credevo ignota gli uomini del nostro tempo: «la serenità».
Curioso, ho cercato, tutte le volte che ne ho avuto il modo, di fissar nella mia mente i diversi lineamenti dell`eroismo. Ho conosciuto l`eroismo che quando la faccia della morte occhieggia - spiffera barzellette, declama, canta. L`eroismo «sereno», che ignora sé stesso me l`han fatto conoscere i sardi.
Essi non cantano, non declamano, non son allegri, non sfidano la morte, le vanno incontro così come si va incontro, in una via, ad un passante sconosciuto, che non si sa chi sia e dal quale nulla si attende né di bene né di male. Chi disse che l`assalto è una fuga in avanti, non conosceva la Brigata Sassari.
Quali le fonti di così rara serenità? Il dovere.
L`onore vuole che si compia il proprio dovere e ciò che è imposto dal senso dell`o­nore è «fatale».
Non se ne parla neanche.
Può forse essere argo­mento di conversazione questo: «se si deve o no battere la propria madre».
No. Così il «dovere»; si adempie, non si ragiona.
Storia, razza, costumi, tradizioni. Tutto vero. Ma lasciano la causa delle cause. La cagione, più vicina, più intima del prodigioso valore sardo, è facilmente trovata, quando si sappia che ci sono dei soldati isolani che ricevano di queste lettere.
 
 
 
È una contadina, badate bene, che scrive: «Stimatissimo figlio ricordati che accanto al compagno morto ci deve essere "sempre" il compagno vivo per lo vendicare; ricordati che hai il fucile per sparare, la baionetta per innestare, il "cuore" per sconfiggere il "brutto" nemico e dare il "benestare" ai fratelli schiavi».
 
Ancora. È uno zio che scrive al nipo­te. Lo ha sempre mandato a salutare per mezzo di altri, ma questa volta interviene. È necessario. Il nipote ha detto che la vita in trin­cea è «un po` dura».
«Stimatissimo nipote: Mi sono "fatto un concet­to" di scriverti. E ti faccio sapere che tu fai il tuo dovere di sardo, bene, se no so io quello che "almanacare"». (1)
 
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Corriere della Sera, 18 novembre 1915. L`eroico assalto dei sardi al trinceramento dei “Razzi”.
 
L`eroica impresa dell`occupazione del trinceramento detto dei «Razzi», compiuta da un reparto degli intrepidi sardi della Brigata Sassari, è efficacemente descritta nella seguente lettera giunta ad una egregia persona, che dimora nella nostra provincia, dall`Uffi­ciale sardo che guidò la meravigliosa azione.
“Qualche giorno fa venne l`ordine di tentare l`occupazione di un trinceramento che da parecchio tempo ci molestava. L`operazione era ardua e difficile e dal Comando stesso erano fatte palesi le difficoltà. Era perciò necessario trovare un gruppo di mili­ti dal fegato sano, che la tentasse. Mi si chiese se mi sarei assunto l`incarico e, dopo aver pensato, risposi: «Sì, ma ad un patto, che mi si lasci scegliere i soldati nella Brigata Sassari».
Così fu: mi avvicinai alla brigata, e dissi: «Mi occorrono alcuni uomini per l`e­spugnazione del “Trincerone”, opera difficile. Ho bisogno di uomini che si votino alla morte, che feriti siano capaci di non emettere un lamento; chi di voi si sente il coraggio si faccia avanti».
Tra i volontari ne scelsi trenta. Tornai a fare loro presente il pericolo e le responsabilità, e i miei amici mi risposero che non avessi avuto alcun timore. Partimmo così verso le 3 del mattino, carponi, in fila indiana. Fummo poco dopo scorti dal nemico, le prime fucilate scoppiarono, un soldato fu ferito in pieno petto e cadde, morden­dosi le labbra, senza emettere un lamento.
Premetto che prima di partire feci osservare ai miei uomini che i feriti non avrebbero potuto ricevere soccorsi, perché iniziata l`ope­razione era d`uopo condurla a termine fin che vi fosse rimasto un uomo. Un temporale ci colse nella nostra avanzata: ai colpi di tuono si unirono tosto le mitragliatrici.
Tic, tac, zac, tac; le pallottole cade­vano ovunque. L`artiglieria nemica cominciò il lancio di bombe che, cadendo, facevano buche tremende. Noi avanti sempre. Eravamo in trenta ma ti assicuro che il coraggio era per cento. Nessun indumento ci proteggeva dalle intemperie.

Eravamo partiti col fucile, col tascapane pieno di munizioni, senza viveri, ma muniti di grande coraggio, pronti a sorpassare qualsiasi ostacolo, anima da leoni, attaccati al nostro fucile dal quale avevamo giurato di non staccarci fino a che una goccia di sangue fosse rimasta nelle nostre vene. Un altro dei miei uomini venne colpito; non ci curammo di lui non emise un lamento, fu fedele alla consegna.
 
Dalle 3 del matti­no alle 13 siamo stati appiattiti, respinti qualche volta, ma non domi. Si giurò sulla vita dei nostri cari di non ritornare o di riusci­re vittoriosi; e il giuramento fu ripetuto durante la notte da tutti noi, mentre scoppiavano vicino i proiettili nemici. Tu li avessi visti i miei sardi giurare con gli occhi aperti, stretto il fucile tra le gambe. Parevano leoni non dubitosi della vittoria.
 
Ad un dato momento gridai loro che l`ora era giunta, bisognava sfidare la mitraglia nemica e il fuoco e, senza sparare, scagliarci all`assalto del “Trincerone”. - Ragazzi, forza, all`assalto, in nome di Dio, non abbia­te paura, via... «Savoia!» -. Eruppe il grido come un boato, e con la baionetta fummo sulla trincea. Il nemico parte fuggì, parte rimase a terra attorno ad una mitragliatrice che avemmo in nostre mani.
 
Non si può descrivere l`assalto, è impossibile. Il nemico vomitò fuoco e fiamme sul trinceramento da noi mirabilmente occupato ed i miei uomini rimasti, sorridevano, l`occhio rosso, le baionette ancora intrise di sangue, non domi ancora, non sazi, fu così che arrivammo sopra un altro trinceramento e l`occupammo facendo un centinaio di prigionieri. Vorrei si chiedesse a questi prigionieri cosa è stato l`assalto.
Con l`occhio vitreo, con la bocca aperta essi ci hanno guardato senza proferir parola, spaventati, meravigliati.
Uno di loro ha esclamato «belve», ed era la vera parola.
 
Non mi sarei mai aspettato tanto, non solo dai miei uomini ma neppure da me stesso. Leggerai nel comunicato del Comando, fra qualche giorno, la nostra operazione, perché i comandanti sono rimasti attoniti di fronte a tanto eroismo, ma il comunicato sarà sobrio, come è di regola. Tu immagina quello che ti scrivo, pensa al furo­re nostro, e non avrai che una pallida, scialba idea dell`impresa gigantesca.
 
L`impresa ha avuto esito favorevolissimo e ne sono lieto; lieto per lo scacco dato al nemico che va imparando di cosa sono capa­ci i figli d`Italia, quei figli che fino a ieri furono disprezzati; mag­giormente lieto perché l`opera è stata compiuta dai figli della nostra isola. I pessimisti impareranno così come tutta la nazione indistintamente dia nella guerra agognata dei grandi eroi. Li ho visti piangere poi questi leoni, piangere di gioia attorno alla mitra­gliatrice presa al nemico sotto il fuoco dei cannoni, pronti ancora, se fosse stato del caso, a lanciarsi ad un nuovo assalto. «Tenente - mi hanno gridato compiuta l`operazione - se vi è bisogno di noi, ci comandi ancora, abbiamo forze sufficienti per ammazzare molta gente». Ho scritto a casa …..”. (2)
 
Un altra domanda che mi pongo è la seguente: “ … se l`arte militare più praticata era quella, con prassi quasi napoleonica, di mandare all`attacco una grande massa di esseri umani, incuranti delle sicure ed enormi perdite che questa inutile strategia arrecava ai nostri schieramenti, e questa fu applicata con tutte le brigate, come mai si ottennero i “migliori risultati” proprio (e solo) con la Sassari?“.
E` possibile ritenere che ciò fosse dovuto a qualche peculiare caratteristica posseduta dalla nostra Brigata?(3)
Ovvero, passi il cordiale distribuito a tutto l`esercito, ci deve essere stato certo un modo di agire del tutto particolare dei Sassarini che determinò il successo complessivo.
La Brigata fu utilizzata, spostandola celermente, sui fronti di battaglia dove si erano presentate difficoltà nel conquistare le trincee nemiche, e ancora di più fu utilizzata per mantenere le posizioni conquistate. Ma la realtà dei fatti ci mostra una Brigata diversa fra le altre brigate.
 
 
Una Brigata che contribuì direttamente all`annullamento della Strafexpedition con la resistenza, durata un anno, sull`Altipiano di Asiago, prima nella conquista inutile di Monte Fior e poi nella tenuta di Monte Zebio.
 
Una Brigata che consentì la vittoria nella battaglia della Bainsizza.
 
Una Brigata che nella ritirata di Caporetto marciò per quattro giorni di fila, ininterrottamente, senza perdere un soldato, senza abbandonare un fucile, e che, prima di arrivare al Piave, perse nella battaglia di Codroipo millecinquanta uomini in un sol giorno.
 
Una Brigata che difese la retroguardia italiana in ritirata verso il Piave, sacrificando sino all`ultimo uomo sulle  rive del  Monticano.
 
Una Brigata che si dispose a difesa dell`ultimo baluardo presso il Piave, a Ponte della Priula.
 
“ … il ponte della ferrovia viene fatto saltare e, passata la Brigata, poiché nessuna truppa è al di là, si vuol fare saltare anche l`altro ponte. I reparti del Genio sono lì pronti, e avvertono la truppa vicina, addossata all`argine, di allontanarsi per evitare disgrazie.
Il nemico è sull`altra sponda: si sentono gracchiare le sue mitragliatrici. Al comandante della Brigata viene fatto sapere che si vuole far saltare il ponte. Ma al di là vi sono ancora reparti della Sassari: i plotoni sul Monticano e un intero battaglione, il VII; i plotoni sono stati destinati al sacrificio ma il VII battaglione ha avuto in mattinata l`ordine di ritirarsi.
Tutti sono persuasi che riuscirà a raggiungere il fiume e a passarlo purché il ponte non venga interrotto. La persuasione è data non solo dal fatto che sembra a tutti impossibile che un battaglione della Sassari, unito, armato, possa cadere prigioniero, ma anche perché il comandante è il Capitano Musinu, un eroe, e certo arriverà anche se dovrà aprirsi il passo con la baionetta.
Il comandante della Brigata conferisce con un generale del Genio e con altri generali e colonnelli lì presenti, ed ottiene che si ritardi il brillamento delle mine. Reparti della Brigata si dispongono lungo l`argine per far fronte a qualsiasi tentativo nemico di passare il ponte.
 Il nemico si sente sparare sull`altra sponda. Passa mezzogiorno, passa l`una, e ancora il battaglione non si vede; alle due ancora nessuna notizia, nessun segno. Le mitragliatrici nemiche intanto si sentono sempre sparare: il rumore scende lugubre in ogni cuore. L`ansia si fa spasmodica, atroce … Finalmente, lontano, si vede avanzare una colonna.
Saranno i nostri? Saranno i nemici? La colonna avanza ancora, serrata, calma. Le mitragliatrici nemiche sparano sulla colonna.
Sono i nostri!
 
E` il VII battaglione. Un grido immenso scuote la piana: i fratelli esultano perché i fratelli si salvano.

Sotto il fuoco nemico la colonna ondeggia, esita, si scompone. Tutti guardano ansiosi. E` un attimo. La colonna si ricompone, riprende la marcia.

Il nemico si accanisce sparando: i nostri rispondono dall`argine, con violenza.
La colonna finalmente imbocca il ponte: sotto gola abbassato, bilanc`arm, passo cadenzato.
Il Battaglione sfila. Il comandante è in testa.
Arrivato all`altezza del gruppo dei generali grida: “ Attenti a destra”. Il Battaglione rende gli onori. Commozione, singulti, lacrime e poi un grido irrefrenabile: “Viva la Sardegna, Viva l`Italia!”.
E` il principio della riscossa, è l`alba di Col del Rosso, del Piave, di Vittorio Veneto. (4)
 
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Nell`intervista concessa l`8 aprile del 1989 dall`ormai novantottenne Generale Giuseppe Musinu, si riesce a cogliere lo spirito autentico della Brigata, quello spirito che è come il granito di Sardegna, nessuno si chiede perché esista, è lì da sempre, forte, disponibile, non ha bisogno ne di acqua né di sole per essere utile.
 

Il generale di corpo d`armata Giuseppe Musinu ha oggi 98 anni (8 aprile 1989 NdA): andato in pen­sione da più di trent`anni, si è ritirato nel suo paese, Thiesi, 3500 abitanti, pastorizia e commercio, una decina di caseifici mo­dernissimi: qui con tecniche interamente computerizzate si produce pecorino desti­nato all`esportazione negli USA. Ormai Mu­sinu lascia il paese di rado, soltanto per qualche ricorrenza che riguarda la Briga­ta “Sassari”; e si presenta con la sua giub­ba grigia dove ha appuntato le sue onorificenze, 26 fra medaglie e decorazioni.

Il generale non è uno che ama esibire. Compare in pantofole, cappotto grigio e gilet, in testa ha un basco blu per traver­so, è basso ma snello, dritto sulla schiena, cammino a piccoli passi rapidi. Pizzo e baffi, sono ormai candidi. Parla di sé con riluttanza e quando si accenna a qualcu­na delle decine di azioni che gli sono val­se fama di eroe preferisce cambiare di­scorso, rifugiarsi in una frase che ripete quasi con monotonia: “Noi sardi abbiamo sempre fatto il nostro dovere”.

Ha un lampo negli occhi soltanto quan­do si parla della Brigata “Sassari”, l`unità costituita quasi esclusivamente con fanti re­clutati in Sardegna.

 
- Sulla Brigata “Sassari” c`è quasi una leggenda. Viene descritta come una for­mazione invincibile…

“Abbiamo fatto sempre il nostro dovere. Certo, ci mandavano dove c`era bisogno, contavano molto sul nostro spirito di corpo. E i nostri spostamenti erano noti anche agli austriaci, che avevano imparato a cono­scerci e a temerci; raddoppiavano la sorveglianza, mandavano rinforzi. Anche do­po Caporetto quando giunse l`ordine di ri­tirata, noi tenevamo ancora le posizioni. Fummo chiamati indietro per non essere accerchiati”.

 
- E quel giorno sul ponte della Priula?

“Gli austriaci cercavano di fermarci in ogni modo, ma non osavano attaccare frontalmente e allora mandavano pattu­glie a disturbare la nostra marcia. Il bat­taglione procedeva in perfetto ordine, ri­spondevamo al fuoco con le nostre pat­tuglie che ci proteggevano i fianchi e ci precedevano. Io stesso sparavo con il mio “91”. Mi dissero che stavano per far salta­re il ponte; temevano che gli austriaci riu­scissero a passare il Piave. Mandai avanti un sottufficiale per dire di aspettare. Arri­vammo appena in tempo. Io ero in retro­guardia, per proteggere la ritirata. Quan­do l`ultimo dei nostri fu dall`altra parte del Piave, passammo anche noi. E il ponte fu fatto saltare”.

 
- In un libro viene descritta una sua azione; il nemico aveva sfondato le linee era riuscito a incunearsi nel mezzo della formazione. Lei evitò che il reggimento fos­se accerchiato; prese una mitragliatrice e riuscì da solo a tamponare il varco.

“Azioni ne abbiamo fatte tante. Come si fa a ricordarle tutte?”.

 
- Qualcuno dice che il coraggio era “obbligato”; contro chi fuggiva o rifiutava di andare all`assalto c`erano i carabinieri che sparavano dalle retrovie.

“Non è mai accaduto che i carabinieri siano dovuti intervenire contro di noi. Sa­pevamo che andare all`assalto era rischio­so, molti morivano o erano feriti. Ma nes­suno di noi ha mai fatto marcia indietro”.

 
- Si dice un`altra cosa. Che i fanti del­la Brigata "Sassari" mettessero i coltelli sui fucili al posto delle baionette negli assalti all`arma bianca alle trincee nemiche.

“Può essere accaduto, perché i pastori avevano maggiore dimestichezza con i coltelli a serramanico, le cosiddette leppe di Pattada. Ma nel mio battaglione usava­mo in prevalenza la baionetta. Bastava, eccome…”.

 
- Quando si parla della Brigata “Sas­sari” si fanno i nomi di due ufficiali portati ad esempio di valore fra i soldati, il suo e quello di Emilio Lussu.

“Conoscevo Lussu, anche se io ero al 152° reggimento e lui al 151°. Lussu era no­to come uno dei nostri migliori ufficiali, era molto amato. I soldati ci stavano a sentire, non c`era bisogno di comandare. Noi era­vamo lì davanti con l`esempio e loro segui­vano. C`era molto spirito di corpo. C`era­no pattuglie nemiche in perlustrazione, ascoltavano cercando di intuire i nostri mo­vimenti. Per non farci capire noi parlava­mo in sardo”.

 
- Generale, ha mai avuto paura?

“La paura è un fatto personale. Si può averla o no. Si sapeva che dovevamo ri­manere là e le pallottole come arrivava­no per gli altri potevano arrivare anche per me. La paura non poteva aiutare, allora tanto valeva metterla da parte”.

 
- E le sue quattro ferite?

“Una ferita per ogni anno di guerra. Nel 1915 una pallottola mi ha attraversato il braccio sinistro. Un`altra volta mi son pre­so una bomba mentre inseguivo un nemico, le schegge mi hanno colpito alla testa e danneggiato un occhio. La vista mi si è fortemente ridotta; poi da quell`occhio non ho visto più”.

 
- Nella controffensiva la Brigata “Sas­sari” ebbe un ruolo importante?

“Fummo subito mandati all`attacco. C`e­rano posizioni considerate imprendibili, Col di Rosso, Trincea delle Frasche. Siamo riusciti a cacciare il nemico. E da lì è par­tita la riscossa”.

 
- Ma anche la Brigata “Sassari” ha avuto il “giorno nero”: Fu quando i soldati si ribellarono ai comandi, non venivano dati i riposi, di licenze neanche a parlar­ne. Qualche ufficiale venne spintonato, c`e­ra aria di ammutinamento.

“Ricordo che ci fu una cosa del genere, ma non nel mio battaglione. Chiamarono gli ufficiali più stimati dai soldati. Parlam­mo e riuscimmo a convincerli. Avevamo molto ascendente perché comandavamo con l`esempio, non con le parole”.

 
- Lei ha combattuto anche nella secon­da guerra mondiale.

“Sì, sono stato in Russia. Era diverso, una guerra meno sentita. Ma anche lì la ritira­ta per il mio reparto non fu un disastro; il comando generale ci fece ritornare e an­che i russi non ci diedero molte noie”.

 
- Fra le sue 26 medaglie onorificenze e decorazioni non ce n`é una data dal fa­scismo. E nel suo stato di servizio c`è un vuo­to, più di venti anni, per diventare colon­nello. Come mai?

“Il fatto è che io sono sempre stato un sol­dato, non ho mai fatto politica. Ad esem­pio, io non ho mai incontrato Mussolini”.

 
- Recentemente il Ministero della Dife­sa ha ricostituito la Brigata “Sassari”. Ha fat­to bene?

“È una decisione che ha significato mo­rale. Serve per tenere viva la memoria di ciò che è accaduto. Tanti morti, quindici soldati sardi su cento, la più alta percen­tuale del nostro esercito”.

 
- E la guerra: che ne pensa?
 
“Non ha senso. Certo, i militari devono obbedire. Ma che bisogno c`era di com­battere in Grecia o in Etiopia? Io di guerre ne ho fatto tante, ma l`unica che ammetto è quella di difesa. Se si è attaccati, difen­dersi diventa un dovere. Comunque è mol­to meglio la pace”. (5)(6)


 
 
Riportiamo l`intervento fatto dal Dott. Giacomo Pala,  ex pretore all`isola di La Maddalena, in occasione del conferimento del Premio "GIUSEPPE GARIBALDI" alla Brigata Sassari,  il 28 Marzo 2011.
 
 
"Autorità religiose, civili e militari, signore e signori, il Rotary club "La Maddalena-Costa Smeralda" mi ha benevolmente affidato il compito di illustrare i motivi per i quali il premio "Giuseppe Garibaldi", alla sua terza edizione, viene quest`anno conferito alla  Brigata Sassari.
Io non ho altro titolo che legittimi l`espletamento di questo alto incarico se non quello, di cui tanto mi onoro, di socio onorario di questo club. Il Luogotenente Antonio Pinna, con ben altra competenza, vi esporrà una sintesi storico-militare sulla nostra gloriosa unità; io, pertanto, mi limiterò a trattarne da un punto di vista generale. Qualcuno potrà chiedersi se sia possibile tracciare un profilo della "Sassari", e rilevarne il suo leggendario eroismo, prescindendo dallo svolgimento delle sue epiche battaglie.
 
Sono convinto che a questa domanda possa darsi una risposta positiva. Invero, la storia della nostra Brigata è talmente complessa, presenta una tale varietà di comportamenti ed è così ricca di momenti in sé e per sé talmente rilevanti, da poterla prospettare in termini sufficientemente indicativi, pur prescindendo dagli aspetti militari strettamente attinenti agli scontri armati.
Per esempio, può ben utilizzarsi in tal senso, considerandolo univoco segnale di eccezionale compattezza morale, prima ancora che militare, il comportamento tenuto dalla "Sassari" la mattina del 28 gennaio 1918, quando, nell`imminenza della battaglia di Col del Rosso e Col d`Echele, tra 6.000 soldati nessuno marcò visita.
Questo episodio, è ben evidente, risulta tanto straordinario da apparire incredibile, se non fosse rigorosamente documentato. Lo stesso, del resto, non rimase isolato; le fonti, infatti, ci informano che durante le terribili giornate di Monte Zebio, il mattino del 10 giugno 1917, sopra una forza di 5.500 soldati, solo 9 si annunciarono ammalati, e di questi 7 furono inviati all`ospedale perché effettivamente riconosciuti  "non lievemente infermi".
Com`è noto, il mito della "Sassari" nacque con la citazione del bollettino di guerra del Comando Supremo del 15 novembre 1915, che annunciava la conquista delle trincee delle Frasche e dei Razzi. La notizia apparve subito, ed era, decisamente eccezionale, per due motivi: anzitutto, si riferiva ad una singola unità; ma, soprattutto, di questa unità indicava la sua composizione regionale.
 
Gli studiosi soffermano le loro riflessioni sulla "sardità" della Brigata che, rilevata per la prima volta nell`episodio delle Frasche, si mantenne poi per tutta la durata del conflitto, alimentata attraverso una vera e propria leva di "militari di stirpe sarda", tratti dagli altri reparti dell`esercito e avviati tra i "Sassarini", per riempirne, unitamente ai complementi provenienti dalla Sardegna, i vuoti determinati dalle gravissime perdite via via sofferte. E` stato, tra l`altro, affermato che questa "specificità Sarda" creò nei nostri combattenti legami talmente forti da risultare, sotto il profilo dell`efficienza bellica, più saldi di quelli puramente militari.
Da questa "sardità" nacque e si avviò la leggendaria epopea della nostra Brigata, che suscitò anche l`ammirazione degli stessi nemici. Nei tristi giorni di Caporettto, ad esempio, la "Sassari" combattè tanto valorosamente da indurre il futuro feld-maresciallo Rommel a scrivere nelle sue memorie: "occupammo Codroipo, sebbene fosse difesa dalla più valorosa formazione dell`esercito Italiano, la Brigata "Sardegna".
Nato da quello che fu definito "il battesimo di gloria" delle Frasche; alimentato via via da un`infinita serie di eroiche battaglie e di trionfali successi; consacrato dal supremo sacrificio dei suoi soldati, il mito della "Sassari" si consolidò definitivamente col passare degli anni, destando l`ammirazione e la riconoscenza dell`intera Nazione.
 
Ad eloquente dimostrazione di quest`assunto, tra le tante prove che si possono addurre, sarà sufficiente richiamare un articolo pubblicato sulla "Nuova Sardegna" del 27 novembre 1968, sotto questo titolo: "gli Austriaci li chiamarono Diavoli Rossi. Il 13 novembre comincia l`epopea della Brigata Sassari che trovasi in trincea".
L`articolo era già apparso su un numero straordinario di 130 pagine curato, nel cinquantenario della Vittoria, dal "Piccolo" di Trieste, che a sua volta l`aveva tratto dall`"Adige" di Trento. Nello stesso si legge:
"fu guerra di fanti, perché fu guerra di popolo. L`umile insostituibile fanteria salì fino in cima il suo Calvario. I reticolati furono la sua corona di spine; il fango fu il suo flagello; la croce fu la sua meta e la vittoria dello spirito. Un Calvario di 41 mesi. Reggimenti e Brigate: i sacrari, con i corpi dei fanti, ne custodiscono i numeri ed i nomi: Brigata Casale, Brigata Regina, Brigata Granatieri, ……… tutte uguali nel sacrificio, tutte uguali nel valore dei morti e dei vivi.
 
 E` possibile distinguere i meriti di una rispetto alle altre e di inquadrarle, a ranghi completi, in un ordine gerarchico che tenga conto del valore di ognuna? Lo crediamo impossibile. L`orrore e la paura, il coraggio e la morte non portano numeri, mostrine o nomi. Semmai si dovesse scegliere, solo la storia e il sentimento potrebbero aiutarci; e allora non potremmo che pronunciare un nome: Brigata "Sassari".
Per la storia, anzitutto: fu la prima unità dell`esercito ad essere citata sul bollettino di guerra del Comando Supremo; le bandiere dei suoi due reggimenti, 151° e 152°, sono decorate – unico esempio nella storia della guerra – con 4 medaglie d`oro. Poi, per il sentimento: dopo il primo conflitto mondiale i due reggimenti furono dislocati nella Venezia-Giulia. Tenaci di carattere, forti come la terra che li vide nascere, abituati a chiedere poco e dare molto, fedeli e audaci.
 
La Brigata "Sassari" attinse i suoi uomini, per serrarli nei ranghi di due reggimenti, in Sardegna, dove fu costituita nel maggio 1915. Nacque per la guerra di allora e meritò, con le sue prove, di rimanere sempre viva fra le unità dell`Esercito, in tutti tempi".
 
L`articolo del giornale di Trento continuava con lo stesso tono. Tra le altre notizie dava questa, manifestamente clamorosa: "il giorno dopo la sua entrata in azione, il primo battaglione del 151° conquistò una linea nemica e catturò 635 prigionieri". Non apparirà superfluo sottolineare il particolare significato che, per quanto ci riguarda direttamente, va attribuito all`iniziativa presa dai giornali di Trieste e di Trento.
 
E` ben evidente, infatti, che, ricordando dopo 50 anni l`epopea della prima guerra mondiale che le riunì all`Italia e fece l`unità del Paese, le due città redente additarono ancora una volta alla Nazione la "Sassari" come protagonista di primaria grandezza.
Ma Trento e Trieste non sono rimaste isolate nel manifestare ammirazione e riconoscenza per la nostra unità; Vicenza, per citare un altro esempio, non fu da meno.
E` ben noto che le battaglie di Monte Fior e Monte Castelgomberto si collocano nella violenta controffensiva nemica del 1916, che si proponeva di spezzare il fronte Italiano e scendere su Vicenza ed oltre, prendendo così alle spalle tutto lo schieramento Isontino. In questo contesto i "Sassarini", ancora una volta, furono citati dal Comando Supremo, che nel suo bollettino parlò di "sublime audacia ed eroica fermezza della Brigata", che riconquista le posizioni perdute e sbarra la strada al nemico. Vicenza fu salva.
 
Trattando di questa vicenda sulla Nuova Sardegna del 24 giugno 1967, il generale Giovanni Casula scrisse un memorabile articolo, sotto questo titolo: "nel settore più cruento accorse ancora la "Sassari" cantando canzoni sarde e con le armi infiorate". Scampato il grave pericolo, Vicenza accolse trionfalmente i "Sassarini"; tra l`altro, il comune decise di cambiare i suoi colori tradizionali assumendo il bianco e il rosso della Brigata.
S`impone, a questo punto, una domanda: quali furono i fattori alla base dei successi bellici della "Sassari"?
Per risolvere la questione sono state addotte nel tempo, e tuttora si adducono, molteplici spiegazioni: particolare considerazione hanno avuto il coraggio, la fierezza, l`orgoglio dei Sardi nonché il loro stile di combattimento; spesso, poi, da memorialisti e storici, tra i quali il nostro Alfredo Graziani, è stato sostenuto che "il gran segreto della "Sassari" è consistito nell`affiatamento particolarissimo tra ufficiali e soldati".
Assai significativo, ed indubbiamente condivisibile, appare il giudizio espresso da Giuseppina Fois che, nella "Storia della Brigata", scrive: "le ragioni vere del successo bellico della Brigata "Sassari" stanno nel senso del dovere profondamente sentito dai suoi soldati e nel senso di responsabilità verso se stessi e verso i propri compagni".
 
E` appena il caso di osservare che la validità di questi giudizi emergerà di certo ulteriormente rafforzata dagli avvenimenti militari che adesso vi verranno illustrati. Infatti, è stata soprattutto la trincea, con la sua drammatica realtà, a costituire il più importante e significativo teatro e banco di prova dell`impareggiabile eroismo dei nostri soldati.
Così stando le cose, può e deve sicuramente ritenersi che la decisione di assegnare oggi il premio "Giuseppe Garibaldi" alla Brigata "Sassari" sia stata assunta con una motivazione forse insuperabile nella sua oggettiva valenza, come chiaramente evidenzia la sua esaltante formulazione.
 
La Brigata, invero, ha dato alla Sardegna, e non solo, un onore ed un prestigio mai prima acquisiti nei secoli; le medaglie conferite alla sua bandiera sono e saranno simbolo e testimonianza di gloria imperitura. L`ammirazione, la gratitudine ed i riconoscimenti manifestati dal popolo Italiano nei confronti della Brigata assunsero, ben può dirsi, dimensione storica.
Alla fine della guerra, il Presidente del Consiglio Orlando disse alla Camera dei Deputati, fra la commozione generale: "quando vidi i fanti della Brigata "Sassari" ebbi l`impulso di inginocchiarmi. La Nazione ha contratto un debito di riconoscenza per i sacrifici ed il valore dei Sardi in guerra, e questo debito pagherà". A sua volta, il ministro Francesco Saverio Nitti disse in Parlamento: "la Sardegna è la regione d`Italia che ha dato il maggior numero di morti, di feriti, di decorati al valore militare ed il minor numero di imboscati e di disertori".
 
Mai, in 150 anni di storia unitaria, il nostro Parlamento ha tributato così alti onori ad altra regione italiana. Il premio oggi assegnato si fregia del nome di Giuseppe Garibaldi; esso risulta tanto appropriato e tanto adeguato a riconoscere ed onorare i meriti della "Sassari" da apparire quasi concepito ed istituito con tale specifica ed esclusiva finalità.
Questa valutazione risulta chiaramente fondata sol che si pensi agli ideali vissuti ed agli obiettivi perseguiti dal grande italiano; essi, infatti, sono stati identici a quelli per i quali la nostra Brigata ha versato tanto sangue e compiuto tanti sacrifici: l`indipendenza, la libertà e l`unità d`Italia. Oggi, con la solennità che la circostanza richiede, in certo qual modo Garibaldi rende onore agli eroici "Sassarini"; ma, in questa straordinaria cerimonia, non possiamo dimenticare che la nostra isola ha vissuto un altro giorno in cui, con pari solennità, sono stati i fanti della "Sassari" a rendere omaggio all`"Eroe dei due mondi".
 
In un caso come nell`altro si esaltarono e si esaltano gli stessi valori, si celebrarono e si celebrano le glorie comuni. Molti di voi, indubbiamente, ricorderanno l`episodio al quale mi riferisco; si trattò di un pellegrinaggio a Caprera organizzato dalla Federazione Provinciale di Cagliari della Associazione Nazionale del Fante. Con lettera del 10 luglio 1973 l`Ispettore Regionale, Generale Giovanni Lo Turco mi invitò alla cerimonia che veniva così presentata: "Il giorno 21 corrente giungeranno a Caprera 200 Fanti Sardi, combattenti della leggendaria "Brigata Sassari", con rappresentanza del Nastro Azzurro e dell`Associazione Combattenti e Reduci, per rendere omaggio, il mattino del 22, alla tomba dell`eroe Giuseppe Garibaldi".
 
Il programma, com`è agevole osservare, si presentava assolutamente straordinario, anche perché nella lettera si precisava: "renderà gli onori militari un picchetto armato con la banda del 152° Reggimento Fanteria"; ma lo svolgimento della cerimonia andò ben oltre. Infatti, se già era decisamente ragguardevole l`annunciata visita tra noi dei leggendari combattenti del Carso e dell`Altipiano, delle Frasche e del San Michele, della Bainsizza e del Piave, di Col del Rosso e Col d`Echele, vi lascio immaginare come apparve in realtà la manifestazione e quali effetti produsse nei presenti quando si constatò che quella falange di eroi era guidata dal Generale Musinu.
Appena lo vidi, ovviamente, andai a salutarlo e scambiai con lui qualche frase di circostanza; tra l`altro, lo pregai di apporre il suo autografo sul libro "Fanterie Sarde all`ombra del tricolore" di Graziani, che avevo portato con me al fine di raccogliere e fissare sullo stesso qualche ricordo della indimenticabile giornata.
 
 
Il Generale non solo firmò ma invitò a farlo la vedova del Generale Motzo e la sorella della medaglia d`Oro Capitano Attilio Mereu, che stavano al suo fianco. Due fanti vicini a noi, che ci avevano osservato, mi chiesero il libro e vi scrissero: "Sanna Tomaso. Cossoine. 151° Reggimento Fanteria Sassari, 3° battaglione, 2° compagnia, sezione pistola" e "Piludu Ennio. Monserrato, Cagliari. 152° Reggimento Fanteria, 2° battaglione Brigata Sassari".
 
 
Ritengo superfluo aggiungere che conservo quel libro, ed una pietra che prelevai da una feritoia della trincea della Frasche, come due sacre reliquie. Ma quel che soprattutto conservo è il ricordo indelebile di quel giorno memorabile in cui, tra l`altro, ebbi l`onore e provai l`emozione di stringere la mano ad una eccezionale figura di uomo e di soldato.
 Non dico nulla di nuovo, infatti, affermando che il Generale Musinu rappresentava, impersonandoli probabilmente come nessun altro, i valori della "Sassari".
Nelle file della Brigata egli militò per 22 anni e fu uno tra i più valorosi uomini che l`unità abbia avuto; fu ferito 4 volte in combattimento, fu promosso 3 volte sul campo e fu insignito di ben 26 tra medaglie, decorazioni ed onorificenze. Una delle pagine più gloriose Musinu la scrisse nel momento della sventura, quando, proteggendo la ritirata dell`esercito verso i ponti del Piave, il suo reparto arrivò al ponte della Priula.
 
 
 Ecco come descrive quanto accadde in quel momento Giuseppe Tommasi, nel suo libro "Brigata Sassari. Note di guerra": "quando il battaglione Musinu, del 152°, ultimo della Brigata a passare il fiume, fu in vista del Piave, il forte comandante, pur sotto il fuoco delle mitragliatici nemiche già appostate in alcune case, fermò il suo reparto, lo rimise in ordine per quattro e gli fece passare il ponte a passo cadenzato col fucile a bilanc-arm".
 
 
Il giorno dello scioglimento della "Sassari", il 28 dicembre 1975, ad un giornalista che lo intervistava, il Generale dichiarò: "questa di oggi è per me una giornata di lutto. Ho percorso in questi giorni ed in queste notti insonni i momenti più cari alla mia memoria. Ecco, scriva questo: la Brigata Sassari si è comportata sempre onorevolmente ovunque sia stata". Rievocando, in quelle notti insonni, "i momenti più cari alla sua memoria", il nostro eroe sarà certamente tornato col pensiero, e più ancora con l`animo, al discorso pronunciato il 7 febbraio 1918 dal Capo di Stato Maggiore dell`Esercito.
 
Quel giorno, dinanzi alla Brigata ancora una volta interamente schierata nella "sua" Vicenza, Armando Diaz rivolse ai "Sassarini" le seguenti parole; esse, a mio sommesso parere, esprimono l`elogio più grande ed il giudizio più vero mai formulati sugli "intrepidi Sardi della Brigata "Sassari": "voi non sapete, e forse non saprete mai, quanto avete fatto per l`Italia". Grazie "
 
 
 
 

 
(1) Giuseppina Fois, op. cit. pp. 237-240
(2) Giuseppina Fois, op. cit., pp. 235-237.
(3) Alfredo Graziani , Fanterie Sarde all`ombra del Tricolore, Sassari Ed. Gallizzi, 1934 p.50, cit.: “ il fante è l`uomo dei miracoli; non gli mandano da mangiare e mangia; non ha scarpe e sa calzarsi; non ha munizioni e spara. Come? Mistero! Si arrangia. E` miracoloso, perché egli è la Patria, che vince tutto, marcia oltre tutto, giganteggia su tutto!”.
(4) Leonardo Motzo, Gli intrepidi Sardi della Brigata Sassari, Edizioni della Torre, pp. 175-176.

è un'idea di Roberto Pilia
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