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Sardus Fontana
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Brigata Sassari
 
 
Per descrivere nel migliore dei modi  la figura di Sardus Fontana domandiamo l`aiuto della Dott.ssa Fois (1)riproponendo la sua prefazione  al libro di memorie di Fontana: "Battesimo di fuoco", ri-edito dal  Centro di Studi Filologici Sardi / CUEC, Cagliari, 2005.
 
 "Sardus Fontana nasce a Iglesias il 22 febbraio 1889 in una famiglia numerosa, era figlio di Pietro Fontana e di Matilde Bernardini. Il padre, perito minerario, era stato sin­daco del capoluogo minerario per diciotto anni, dal 1889 al 1914.
 Cavaliere dell`ordine della Corona d`Italia dal 1892, secondo le memorie familiari aveva ricevuto l`ambita ono­rificenza per aver parlato in un`occasione ufficiale davanti al re a nome di tutti i sindaci d`Italia. Collaboratore saltuario dell`“Unione Sarda" (vi aveva pubblicato articoli non bana­li sulla questione mineraria), era stato come molti esponen­ti della sua generazione e del suo ceto sociale un liberale, animato da ideali risorgimentali, per poi aderire al fascismo su basi patriottiche.
 La madre, Matilde, proveniva da una famiglia di agiati proprietari: i Bernardini, che vantavano anche un notaio nel loro recente albero genealogico, avevano edificato nel 1777 ad Iglesias la Chiesa della Madonna del Buon Cammino e poi costruito nelle adiacenze, in tempi diversi, la casa di famiglia.
Sardus aveva due fratelli, Josto e Amsicora; e tre sorelle, Clelia, Ines e Adelasia. Anche i nomi indicano una precisa preferenza culturale verso i grandi miti della storia isolana. I due maschi avrebbero poi intrapreso la professione di ingegnere minerario; delle tre ragazze, Adelasia sarebbe diventata insegnante di calligrafia.
 
 
 Fontana aveva studiato a Cagliari, all`Istituto Tecnico Pie­tro Martini, conseguendovi il diploma di ragioniere. Poi, con Raimondo Carta Raspi e Angelo Corsi, aveva fre­quentato a Firenze il "Cesare Alfieri", dove, dopo la guerra, si sarebbe laureato in Scienze Sociali con una tesi dal titolo "Il movimento operaio sardo".
 
 
 Era stato chiamato una prima volta alle armi il 28 ottobre 1911; nel gennaio del 1912 aveva preso parte ai corsi allie­vi ufficiali di complemento per essere poi destinato al 70° Fanteria; promosso caporale il 31 maggio, era poi "cessato" dalla posizione di allievo ufficiale "per non aver superato il grado di Sergente". La sua carriera nell`esercito sarebbe però ripresa e proseguita negli anni successivi: sergente nel luglio 1913 e sottotenente nel febbraio 1914, destinato questa volta al 91° reggimento di Fanteria di stanza al deposito di Ozieri per il servizio di prima nomina". Congedato nel feb­braio 1915, già ai primi di maggio era stato richiamato alle armi. L`11 maggio si presentò al comando del 45° Fanteria di stanza a Sassari e fu quindi Trasferito a Tempio, "per la costituzione del primo nucleo della Brigata Sassari".
 
 
 Scriverà più tardi Fontana: "Venni in seguito a sapere che tale mia destinazione era stata determinata dal fatto che non avevo raggiunto la qualifica di ottimo, durante il servi­zio di prima nomina, quale Sottotenente di Complemento, l`aver avuto alcuni giorni di arresti per inevitabili manche­volezze di servizio, mi indicavano allora al Comandante del detto Reggimento come immeritevole".
 
 
 A Tempio il giovane ufficiale fu posto al comando del 4° plotone della Iª compagnia. Qui, stando almeno alla sua stessa testimonianza, avvenne un mutamento interiore, forse determinato dall`incontro con il superiore diretto, il Capitano Gavino Luigi Serra, "la bonarietà e la franchezza del quale - avrebbe ricordato Fontana - mi lusingarono non poco": "e nacque in me il vivo proposito di divenire un ottimo ufficiale in guerra, per smentire la qualifica avuta come ufficiale di caserma".
 
 
 La trasformazione che Fontana descrive non dovette essere forse rara, nel quadro dei giovani ufficiali della "Sassari", soprattutto fra i molti ufficiali di complemento.
 Sin dall`inizio, più che ispirarsi ai modelli formali come quelli proposti dalle scuole militari o dall`accademia, molti di essi maturarono un approccio psicologico con la guerra più complesso, sul quale capiterà di ritornare. In quell`ap­proccio, più che l`identificazione con l`istituzione-esercito e con i suoi codici interni, giocò un ruolo decisivo la motiva­zione personale, legata (come in questo caso) al riscatto di un`esperienza precedente poco brillante oppure - più semplicemente - alla decisione di "fare il proprio dovere" verso i soldati.
 
 
 La guerra comunque avrebbe profondamente segnato il ventiseienne Fontana. Si vedrà subito quale ricordo egli ne avrebbe consegnato alla pagina scritta. Ma al di là di quel documento, la partecipazione a quella "comunità di sardi al fronte" che fu la Brigata "Sassari" (l`espressione, icastica, è di Camillo Bellieni) dovette incidere in modo permanente sulla sua formazione personale, sviluppando in lui un`idea (che forse non aveva pienamente maturato nell`anteguerra) che si potrebbe definire, più che come sardismo, come par­tecipazione alla "sardità", cioè al complesso di valori e alla concezione del mondo e degli uomini che della Brigata costituì quasi l`ideologia implicita, il collante interiore più efficace.
 
 
 Ritorna qui il tema della specificità della "Sassari": il suo essere composta in prevalenza da sardi; il riprodursi al suo interno di un rapporto che in mancanza di meglio definire­mo di paternalismo rurale tra i suoi giovani ufficiali e i sol­dati-contadini; l`uso, nella comunicazione quotidiana e tal­volta persino in battaglia, del sardo come codice di ricono­scimento reciproco; la capacità di trasferire in guerra abilità e abitudini di vita tipiche del mondo agro-pastorale sardo; la tendenza a impostare i rapporti tra militari sui codici etici già interiorizzati nella vita civile (la fedeltà alla parola data; il rispetto sempre e comunque della dignità degli uomini; il senso del dovere da compiere fino in fondo come dimo­strazione di balentìa, cioè di valore umano); lo sfruttamen­to in guerra della confidenza del soldato sardo con le asprez­ze della natura; l`utilizzazione nell`assalto o nell`"operazione ardita" delle armi da taglio, strumento quotidiano del lavo­ro agro-pastorale. Ma soprattutto il sentirsi una comunità, tenuta insieme da uno speciale affiatamento fatto di respon­sabilità reciproca e di comune visione del mondo.
 
 
 Il foglio matricolare di Fontana restituisce solo burocraticamente le tappe della sua guerra personale: ricoverato in ospedale da campo per una contusione il 22 agosto 1915; trasferito all`ospedale di Brescia il 28; in licenza a Iglesias per 30 giorni (poi prorogati di altri 20) dal 7 settembre; nel luglio 1916 ancora a Brescia per il corso di mitragliere; il 3 agosto 1916 di nuovo al fronte, dove è nominato tenente il 31 agosto e capitano dal 30 novembre 1916; sarà poi desti­nato a vari reparti mitraglieri, divenendo uno degli ufficia­li più esperti nel settore (al punto da essere chiamato ad insegnare a Brescia nei corsi per mitraglieri). Rientrerà dalla zona di guerra solo dopo Vittorio Veneto, alla fine del 1918.
 
 
 Al di là, però, della sequenza delle destinazioni, restano, a testimoniare il valore del giovane ufficiale della "Sassari", le sue promozioni, le citazioni e le decorazioni conseguite. Sul Carso, il 25 luglio 1915, viene decorato con medaglia di bronzo per avere, da comandante di plotone, condotto il suo reparto all`assalto di una trincea "occupandola e facen­do prigionieri nel successivo inseguimento parecchi nemici, di cui tre ufficiali". Durante la grande battaglia per la presa di Gorizia si distingue come comandante di una sezione di mitragliatrici, tanto che padre Semeria lo avreb­be poi ricordato scrivendo, nel consueto stile retorico:
“Fontana di forza è la mitragliatrice e chi la maneggia". Ma soprattutto Sardus Fontana andò famoso negli ambien­ti militari come l`inventore della "pallottola illuminante", o fumo illuminante per l`aggiustamento del tiro sia di gior­no "che di notte", un`invenzione, poi brevettata, che gli valse il plauso del comitato nazionale di esame per le invenzioni attinenti a materiale di guerra".
 
 
 Finita la guerra, Fontana sarebbe rimasto nell`esercito sino al 1921. Laureatosi il 5 dicembre di quell`anno, tornò ad Iglesias, dove aprì uno studio legale nella centrale via Cavour. Fu per anni presidente della locale Associazione combattenti e reduci, ma non partecipò ufficialmente alle attività pubbliche del regime fascista.
 Richiamato alle armi il 30 giugno 1940, fu assegnato al comando della Divisione "Calabria", per poi essere trasferi­to l`anno successivo (in agosto) al 46° Reggimento Fanteria "Reggio" di stanza a Cagliari e il 7 giugno 1943 in qualità di comandante del 403° Battaglione costiero, era stato pro­mosso per anzianità prima maggiore nel 1930 e poi tenen­te colonnello nel 1938. Con questo grado, nei giorni con­fusi intorno all`8 settembre, comandò il posto di blocco sul Rio Mannu nel quale, in uno scontro a fuoco con i tedeschi in fuga verso il Nord Sardegna, cadde un soldato italiano e sei furono feriti, mentre restarono sul terreno due tedeschi (e otto furono feriti).
 
 
 Il dopoguerra rappresentò per Fontana un periodo, come si vedrà assai breve, di impegno nella politica locale e regio­nale: fu a Iglesias consigliere comunale eletto come indipendente nella lista DC durante la prima legislatura democratica; il suo nome fu proposto come rappresentante democristiano alla Consulta Regionale, ma rifiutò. Si presentò invece, dopo essersi avvicinato al Pci, alle elezioni politiche del 1948 nella lista del Fronte popolare, ottenen­do 875 voti. Fu quello il suo ultimo impegno pubblico. Morì a Iglesias il 2 agosto 1948.
 
 
 Nella letteratura sulla Brigata "Sassari" il libro di Fontana costituisce un caso a parte. 164 pagine di un volume edito da un piccolo tipografo di Iglesias (Atzeni & Ferrara), impreziosito dalla copertina a tre colori e dai disegni di un grafico di larga fama come Tarquinio Sini (un tratto essen­ziale, un`ispirazione quasi da vignettista), che si aprivano con una breve prefazione del generale Pugliese, ex combattente nella Brigata: in realtà, una lettera personale a Fontana nella quale il generale, all`epoca comandante militare della Sardegna, definiva il libro "espressione veritiera, caratteristicamente sarda, elegantemente spigliata, varia ed efficace, della vita dei Sardi, nel primo anno di guerra”.
 
 
 Il volume si articola in venticinque brevi capitoli, tra le cinque e le dieci pagine ciascuno, costruiti come altrettanti bozzetti intorno ad episodi, personaggi o luoghi. Uno stile letterariamente brioso, quasi volutamente semplice, una prosa dall`andamento piano e lineare. Una scrittura felice, a tratti anche arguta, dà forma, forse senza che l`autore neppure se lo proponga consapevolmente, ad una visione della guerra quasi "minimale", in cui gli aspetti più drammatici e persino tragici del conflitto, pur non essendo in alcun modo censurati, si stemperano quasi naturalmente nelle sequenze della vita quotidiana dei fanti al fronte.
 
 
 Dopo la crudezza documentaria dei libri di Tommasi e di Graziani, una sorta di rappresentazione di gruppo, il racconto dell`e­sperienza collettiva della Brigata in trincea, spesso incline al ritratto impressionistico e all`aneddoto a tratti anche diver­tito e divertente.
Viene spontaneo l`accostamento con un documento "minore" (e minore per forma e ambizione letteraria) da poco valorizzato dalla ricerca storica: le cartoline illustrate che un altro giovane sardo, il bonorvese Giovanni Antioco Mura (già appassionato animatore del socialismo contadino del Meilogu agli inizi del secolo) inviava quotidianamente ai familiari per raccontare loro la vita dal fronte; e anche lì, per la penna a china o la matita di Mura, ecco l`immagine di una guerra più che guerreggiata in trincea, vissuta nelle immediate retrovie, panorami campestri con svettanti cam­panili veneti, soldatini in grigioverde alle prese col rancio.
 
 
 Scene, insomma, di vita collettiva, programmaticamente lontane dall`orrore della guerra combattuta.
Non si vuol dire con questo che a Fontana sfuggisse, anche quest`ultimo aspetto, che ne censurasse volutamente la realtà. Solo, egli guardava all`immane conflitto europeo da un altro punto di vista, per certi versi più particolare e particolaristico, forse anche in sottintesa polemica con l`enfasi di certa memorialistica (specie quella "continentale") sulla "Sassari".
 
 
  Emerge vivacemente, in questo contesto, specialmente la “sardita" della Brigata. Ecco dunque gli intermezzi della trincea, con i piccoli banchetti a base di "guspinesa" (il "terribile coltello sardo", come scrivevano i corrispondenti di guerra nel 1915) e di porchetti alla sarda consumati in faccia al nemico; ecco l`insistita registrazione della straordinaria coesione tra "capi" (gli ufficiali, soprattutto quelli di complemento) e "base" (i contadini-soldati di leva), con il dialetto sardo usato come tramite - quasi la lingua ufficiale della Brigata, come scrive nel suo libro Alfredo Graziani: "se sei Italiano, parla sardo!" l`avviso delle sentinelle, come ricorda anche Fontana -; ecco il rapporto, paterno e paternalistico insieme, che si instaura tra ufficiali e soldati (come testimonia tra gli altri Ezio Maria Gray) e le frequenti nota­zioni sul particolare modo di combattere (le tecniche di sopravvivenza affinate nella società pastorale applicate poi alla guerra di trincea; la confidenza con le armi da taglio e con i terreni impervi ecc.).
 
 
 Più di maniera (se ne trova quasi un cliché anche in altri memorialisti) il breve ritratto che lontana fa del suo attendente Sebastiano Congiu da Oliena ("silenziosa sublimità sarda").
 Difficile stabilire se questo insieme di particolari metta capo, alla fine, a un modo differente di interpretare il senso della guerra. Di fronte alla tragica realtà nella quale sono i costretti a vivere, i fanti della "Sassari" sono forse gli inconsapevoli portatori di una visione del mondo che li caratterizza rispetto agli altri combattenti. Ha scritto Michelange­lo Pira, in alcune dense pagine de La rivolta dell`oggetto, che la Grande Guerra fu vissuta dalla Brigata come una guerra dell`etnia sarda in concorrenza con tutte le altre.
 
 
 Letta in questi termini, la "guerra dei sardi" appare come una manifestazione di specificità culturale, quasi antropo­logica. I valori che ne costituiscono l`amalgama non sono più quelli ufficiali (la bandiera, la difesa della patria, l`ono­re del soldato) ma piuttosto la solidarietà tra uomini della stessa regione, il senso della appartenenza comunitaria, la dignità di uomini responsabili chiamati a compiere un dovere difficile, il rapporto di fiducia che si instaura con gli ufficiali (e che sarà alla base del movimento degli ex-com­battenti e poi del Psd`Az).
 
 
 Nella Brigata non si combatte per la medaglia, quanto, più semplicemente, per conqui­starsi la licenza o perfino il premio in danaro, come ricorda Lussu. Non si va all`assalto per odio antiaustriaco (anzi nella Brigata questa coscienza dei fini nazionali della guerra circola meno che altrove) ma si combatte per "vendicare" il compagno caduto, il compaesano, l`amico, il fratello oppu­re — semplicemente — per tenere fede alla parola data, come impongono i codici non scritti della società rurale sarda. Insomma, la macchina da guerra funziona (e funziona al suo meglio) proprio in quanto tradisce i codici tradizionali della guerra e trasferisce invece in trincea codici e modelli di comportamento mutuati dalla vita quotidiana e dalla cultura della società rurale sarda.
 
 
 Gli alti comandi, con l`operazione propagandistica inizia­ta nel 1915, non fecero che innescare una carica politica che forse già da tempo andava accumulandosi: la Brigata fu il laboratorio nel quale, durante un`esperienza che a ragione è stata definita la prima esperienza nazionale di massa (cioè di partecipazione alla vita nazionale) della società sarda in tutte le sue componenti, maturò una prima scoperta "rivoluzionaria" dell`identità regionale. Non per caso l`autono­mismo sardista del primo dopoguerra avrebbe largamente attinto proprio a quell`esperienza."
 
 
Giuseppina Fois
 
 
(1) La Dottoressa Fois è  Professore Associato di Storia Contemporanea presso la  Facoltà di Lettere dell`Università di Sassari, autrice, tra l`altro, del libro "Storia della Brigata Sassari", Edizioni della Torre, 2006.
 

è un'idea di Roberto Pilia
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